(di Paolo Margari)
I risultati del voto europeo in Italia hanno legittimato il governo di Renzi mentre si parla di débâcle per il MoVimento 5 Stelle. Da un exploit quasi certo alla perdita di quasi tre milioni di voti (circa quattro punti percentuali) devono far riflettere.
Visto che nel Movimento ognuno vale uno, provo a dire la mia, in quanto attivista storico, iscritto ai Meetup dal 2006, ben prima delle elezioni vinte per la seconda, per una manciata di voti dall’Ulivo, di Romano Prodi, a comprova che la realtà pentasetellata non è un fenomeno dell’ultimo anno ma ha radici profonde.
Ecco 10 possibili cause da cui partire e su cui riflettere:
- Si è creato un vuoto dettato dalla scomparsa politica di Scelta Civica (0,7%) che dopo la dipartita dell’UDC e del fondatore Mario Monti difatti è rimasta una forza politica inconsistente. Si tratta di un 10% preso alle politiche 2013 che certamente non si sarebbe riversato su Grillo ma è andato dritto nelle tasche di Renzi.
- Forza Italia non ha tenuto (16%), anzi ha perso. Strada facendo molti berluscones e avvoltoi si sono allontanati dal padre-padrino, condannato (ma nonostante ciò ben presente a livello mediatico), in affanno evidente (dopotutto è quasi ottuagenario) e privo di una chiara collocazione politica, a metà fra il desiderio di riscrivere la Costituzione con Renzi e il distinguersi dal governo facendo un’opposizione sterile e inconsistente. I voti di Forza Italia difficilmente sarebbero andati a Grillo se l’alternativa era un nuovo teleimbonitore dalla promessa facile e dall’aspetto berlusconiano: Renzi.
- Il Nuovo Centro Destra di Alfano ha ottenuto un risultato mediocre (4% includendo anche gli opportunisti dell’UDC). I residui post-berlusconiani devono ringraziare la sorte per aver superato il 4%. Con tutti i travasi di personalità forti del centrodestra avrebbe voluto ridimensionare Forza Italia e diventare il nuovo faro di quell’area politica, invece ha rischiato di fare la fine di Futuro e Libertà (chi se lo ricorda?), la corazzata di Gianfranco Fini vaporizzata nel giro di pochi mesi.
- Il MoVimento 5 Stelle ha pagato il prezzo delle espulsioni che hanno messo in guardia una parte, piccola ma importante, del suo elettorato. Anche dai risultati delle consultazioni online per la conferma delle espulsioni dei ‘dissidenti’, giuste o sbagliate che siano, si capiva che almeno un 10-15% del suo elettorato non ha affatto gradito quel modo di fare. Il 10% dell’elettorato in meno è significativo per una forza che ha preso il 25% (forse è quello che è mancato a questa tornata).
- Il MoVimento 5 Stelle ha pagato e continua a pagare il prezzo di una grande disorganizzazione interna che continua a produrre forti dissidi organizzativi, malumori e segrete lotte intestine fra candidati e loro supporters, spesso organizzati in gruppi che risuonano di correnti democristiane. La punta dell’iceberg sono state le elezioni regionali in Sardegna (febbraio 2014, parliamo di appena due mesi fa) nelle quali una frammentazione drammatica dei gruppi ha portato alla non presentazione di alcuna lista. Ma l’iceberg sottostante è molto più grande e non da poco. Conosco un po’ la realtà pugliese e lo posso confermare… Ci vuole un cambiamento e questo è il momento decisivo, altrimenti il tutto svanirà presto (non sono pochi i casi di clamorosi successi elettorali svaniti nel giro di pochi anni o addirittura mesi).
- Il MoVimento 5 Stelle ha pagato il prezzo dell’assenza di un esteso supporto a livello locale. Il Partito Democratico mantiene un minimo di struttura ovunque, eredità del PCI-PDS-DS unito alla DC-PPI-Margherita, al PSI, a parte della CGIL e di altre forze sindacali e a microrealtà politiche costituenti il papocchio renziano. Il M5S invece, nato su internet pochi anni addietro, non gode di questa ramificazione storica. Tuttavia, laddove presente a livello locale, il distacco con il PD è stato molto più basso. Si pensi al mio comune, Soleto (Lecce) nel quale un’agguerrita e valida lista M5S presente alle comunali ha fatto da sostegno alle europee tant’è che il risultato finale del M5S, rispetto alle politiche, è addirittura migliorato. Una lezione da apprendere: si parta dalla base, dai comuni, da attivisti impegnati, motivati, capaci come coloro i quali hanno animato la campagna elettorale a Soleto (e, sono certo, in tantissimi altri comuni d’Italia). Alle scorse politiche il 25% del M5S è stato anche dovuto a una parte di indecisi che hanno votato Grillo anche perché, da renziani, non avrebbero mai dato credito a Gargamella (figuriamoci se fosse rimasto Capitan Findus). Ora Matteo Renzi è al potere e hanno trovato la loro valvola di sfogo.
- Il MoVimento 5 Stelle da non allineato ha pagato il prezzo di non aver espresso una collocazione chiara nello scacchiere politico europeo. Questa argomentazione probabilmente è minoritaria ma fa presa su quell’elettorato indeciso che vota in prospettiva europea. In tal senso, la scelta poteva andare a liste chiaramente schierate con i grandi partiti europei. Il voto a Grillo avrebbe rappresentato un segnale per il governo italiano, ma non avrebbe certo influenzato più di tanto gli equilibri politici europei.
- Le principali forze politiche, PD e Forza Italia, hanno beneficiato di una ‘gloriosa macchina da guerra’ rappresentata dai (propri) media asserviti, uniti sino a poche ore prima del voto (in pieno silenzio elettorale) nel parlare di pericolo e rischio Grillo, disegnato come Hitler, Stalin, Pol Pot, capocomico, populista, etc. etc. Scenari apocalittici nei riguardi di un individuo che ha assunto il doppio ruolo di megafono e parafulmine del M5S.
- Tutte le forze politiche – incluse la Lega Nord e la lista Tsipras, principali antagoniste del M5S sia pur su fronti opposti che assieme contano il 10% – hanno additato il M5S come principale nemico, probabilmente per il fatto che la sua scelta di non fare alleanze con nessuno (mantenuta sino ad oggi) non avrebbe mai portato alcuna utilità.
- Un dettaglio forse non marginale: 80 euro fanno comodo e tanti italiani “tengono famiglia”. Il velato voto di scambio centralizzato certamente non è stato un fattore discriminante indifferente nella determinazione finale del risultato elettorale. Pazienza che in qualche modo gli italiani, quegli 80 euro, li dovranno restituire.
Forse i punti su elencati sono sopravvalutati, forse ce ne sono altri, ma resta il fatto che per ora il M5S tiene: è la seconda forza politica con un quinto dell’elettorato. A conti fatti ha perso circa il 16% dei suoi voti presi un anno fa. Nonostante questo, 20 punti di distacco con il PD non sono briciole. E’ vero che ci sono differenze notevoli fra i risultati a livello territoriale (in Toscana il PD è oltre il 50%), ma in generale il PD ha registrato un successo che certamente va oltre le previsioni più rosee dei propri sostenitori.
Ora si pensi: se il M5S avesse preso sempre lo stesso risultato (21%) e il PD invece 10 punti in meno, (il 31%), comunque Renzi avrebbe parlato di grande successo (magari non clamoroso), ma a chi sarebbero andati quei 10 punti mancanti? A Berlusconi?! Ad Alfano? La matematica non è un’opinione e l’aritmetica neppure. Fra centrodestra e centrosinistra gli italiani indecisi hanno preferito, probabilmente a ragione, una realtà più giovane e con meno condannati.
Queste elezioni hanno sancito un ulteriore risultato per il PD: la scomparsa di SEL, ormai scomoda ex stampella elettorale confluita e disciolta nella lista per Tsipras assieme al meltin pot della sinistra che torna a ottenere, per un soffio, un risultato utile dopo anni di cocenti sconfitte. Fuori dai giochi anche la destra di Meloni, Crosetto, La Russa (Storace invece era furbescamente rientrato all’orticello berlusconiano in tempo utile). Cosa resta dei partiti a parte Alfano e Lega Nord?
A prescindere dai malanni dei piccoli, nel M5S si dovranno rivedere molte cose internamente, altrimenti queste elezioni anziché un incidente di percorso rappresenteranno l’inizio di un declino certo.
Probabilmente le ‘promesse’ elettorali di Renzi non potranno essere tutte mantenute. Quattro italiani su dieci hanno scelto la speranza, ma chi di speranza vive…
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