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L’erosione della coperta democratica in Italia

(di Paolo Margari)

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L’affluenza alle urne è in costante calo in Italia. Alle elezioni regionali di Novembre 2014 in Emilia Romagna, regione con una storia politica importante, ha votato appena il 37% del corpo elettorale. Alle precedenti regionali, nel 2010, aveva votato oltre il 68%: probabilmente quattro anni e quattro governi fantoccio, frutto di decisioni imposte da un presunto stato di necessità, misto a inaspriti livelli di corruzione, concussione, peculato, truffa, collusioni con la criminalità organizzata e malaffare vario – bipartisan – hanno prodotto il risultato di allontanare ulteriormente i cittadini dalla politica.

Tale situazione si verifica, paradossalmente, in una stagione in cui il principio di sussudiarietà ha assegnato a regioni ed enti locali maggiori poteri, anche in chiave fiscale e di spesa. Una crescente parte della società al proprio diritto/dovere costituzionale di voto risponde con sempre maggiore disinteresse, sconforto, distacco: chi vota lo fa per presunto interesse o per inerzia, senza passione, scegliendo il “meno peggio”.

Allo stato attuale, la prospettiva fantapolitica di un lento superamento della democrazia non pare del tutto campata in aria: grazie al disinteresse verso la politica dimostrato dai cittadini, causato dalla stessa politica, l’inganno che si cela sotto al manto democratico appare sempre più evidente. Si noti che in Italia il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri (e i ministri) e ora anche i Presidenti di Provincia (ente mai abolito), nonché gli organi decisionali di città metropolitane e comunità montane e non ultimo il Senato dei nominati, sono tutti esempi di ruoli importanti che sfuggono al controllo diretto dei cittadini. Per non parlare delle liste bloccate che sostanzialmente predeterminano la composizione parlamentare ed elargendo immunità a loschi individui.

Il sistema democratico è gravemente viziato in partenza a causa di vari fattori fra cui un’informazione parziale o distorta – manipolata ad arte attraverso collegamenti occulti o palesi fra politica ed editoria – assenza del vincolo di mandato, elevata frammentazione e svuotamento ideologico del sistema partitico, tramutatosi in una galassia di brand, spesso personali e dalla vita molto esigua, dietro ai quali si muovono interessi particolari di una miriade di attori che fanno della rappresentanza politica un lucroso impiego a tempo indeterminato. A questo si aggiunga, nel caso di talune elezioni, la negazione della possibilità di esprimere il voto di preferenza, per non parlare di un lauto finanziamento pubblico alla politica che si aggiunge a quello privato, spesso occulto, e di soglie di sbarramento e premi di maggioranza tarati su misura delle forze di governo.

Le campagne elettorali, col passare degli anni, svuotate della passione e dell’impegno di un tempo, che andava oltre le poche settimane prima di un’elezione, sono divenute un’estremamente circoscritta rassegna di eclatanti slogan privi di lungimiranza, urlati in tv e sul web, più che sulle piazze, con lo scopo di colpire alla pancia di un numero sempre più risicato di elettori.

Oggi gli eletti non rappresentano gli interessi della maggioranza relativa che consente loro di governare – di norma corrispondente al 10-20% della popolazione totale considerando l’elevato astensionismo.

Il sistema democratico si tramuta così nei fatti in una giustificazione di porcate che danneggiano gli elettori – paradossalmente anche coloro che hanno consentito ai loro aguzzini di governare.

La ‘democrazia’ diviene un costoso – e paradossalmente dannoso – strumento per la società, utile solo a giustificare le peggiori nefandezze di un potere occulto – ma onnipresente, ad ogni scala di potere – che opera ignorando il mandato elettorale e invocando, attraverso frame diffusi a reti e siti unificati, presunte priorità della collettività che in realtà sono esigenze di specifici portatori di interessi.

La cronaca di questa piccola tornata elettorale, in cui a conti fatti hanno perso tutti, racconta anche alcuni aspetti della “coperta democratica”:

  • il PD si conferma vincente, sebbene il voto, depurato dall’astensionismo, per il brand a guida renziana corrisponda ad appena il 16% dei cittadini in Emilia-Romagna e al 10% in Calabria. Il resto che è servito a vincere è andato una miriade di liste di supporto prive di identità politica.
  • Forza Italia elettoralmente è scomparsa: il brand elettorale di Berlusconi, che intende tirare dritto con dentiere e cinema gratis per anziani, nonostante i crescenti malumori dei pochi rimasti, di fatto corrisponde a un 3% del corpo elettorale in Emilia-Romagna e al 5% in Calabria, regione dove sino a non molto tempo addietro il centrodestra conseguiva ben altri risultati.
  • risorge la Lega Nord, raggiungendo livelli mai visti, sebbene la parola Nord perda significato in virtù di un deciso posizionamento nell’ambito (e libero) spazio della nuova destra. Matteo Salvini ha trovato autostrade libere dopo l’inesorabile crollo di Berlusconi e di tutta la galassia “costruita intorno a lui”. Il “Nord” paradossalmente per Salvini rappresenta una zavorra, in quanto non gli consentirà mai di governare il paese che è fatto anche di Centro e di Sud, tradizionali bersagli della propaganda leghista sino a non molto tempo addietro. Probabilmente si assisterà a un re-branding.
  • il MoVimento 5 Stelle è in caduta libera. Non sono bastate le continue batoste subite ad ogni elezione dopo lo straordinario e inatteso successo delle politiche di un anno e mezzo prima (25% = prima forza politica in Italia). Per brand di Casaleggio-Grillo urge un cambiamento radicale, visto che i voti in Calabria sono stati appena il 2% del corpo elettorale, mentre in Emilia-Romagna, regione che ha sempre dato ottimi risultati, si è fermi al 5%. Le prime esperienze del M5S in quella regione, quando era concesso candidarsi al ribelle Favia, narravano di risultati migliori. Il M5S ha provato a occupare lo spazio (libero) della nuova destra, ma gli è andata male visto che gran parte di attivisti ed elettori in fondo non hanno molto da condividere con quella tradizione politica. Si comprende che la politica delle espulsioni non ha pagato e l’exploit del 2013 è scaturito da una moltitudine di cittadini tornati a votare per dare una possibilità a qualcosa di realmente nuovo. Tornati alla disillusione, difficilmente potrà ancora verificarsi qualcosa di simile. Beppe Grillo sul suo blog canta vittoria dichiarando che il M5S ha guadagnato il 25% di preferenze rispetto al 2010, il maggiore incremento, mentre gli altri hanno tutti visto diminuire i loro voti. E’ innegabile, ma tralascia il fatto che un anno e mezzo fa le preferenze raccolte erano molte di più. Il rischio di ritrovarsi con più eletti che elettori comunque è scongiurato grazie alle espulsioni per le quali, dopo un leggero calo durante la stagione estiva, si registra una ripresa.
  • l’astensionismo si conferma il primo partito in Italia e il dato in Emilia-Romagna supera quello registrato in Calabria invertendo una situazione storica confermata sino alle precedenti elezioni regionali del 2010. L’Emilia-Romagna, regione storicamente operosa, rossa e impegnata, patria di personaggi della storia recente come Prodi, Fini, Casini e Bersani e della storia passata come Mussolini, si dimostra più disinteressata alla vita politica rispetto alla Calabria, regione che invece continua a macinare record negativi in termini economici e occupazionali: ultima per PIL procapite e prima per tasso di disoccupazione, per non parlare di ‘ndrangheta, il “prodotto” calabrese che si esporta meglio (anche in Emilia-Romagna).

 

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