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Strage di Parigi: la fiera dell’ipocrisia e dello sciacallaggio politico

(di Paolo Margari)

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Attentati Parigi Novembre 2015
Una nuova ondata di memi sta invadendo i social network. Dopo “Je Suis Charlie” oggi tutti si accodano a “pregare” o invocare pace per Parigi.
Orde di sciacalli, di mestiere politicanti od opinionisti vita natural durante, si accalcano in fretta per sputare sentenze in una litania di giudizi affrettati, superficiali e sommari.
La fiera dell’ipocrisia e delle generalizzazioni è condita da apprezzamenti, hashtag, loghi e condivisioni sui social media, strumenti prevalenti dell’impegno politico contemporaneo.
Per quanto possa valere il mio irrilevante pensiero, al pari di quello di milioni di altre persone presumibilmente “civili”, sono vicino al dolore dei familiari di vittime innocenti. Allo stesso modo, ogni giorno, sono vicino al dolore dei familiari di molte più vittime invisibili agli occhi delle tante coscienze che oggi scoprono con terrore il baratro dietro l’angolo.
L’amico Ben in un commento ricordava che solo questa settimana ci sono stati 210 morti in Libano, 135 nello Yemen, 76 in Siria, 44 in Iraq, uno in Tunisia, che non è stato possibile definire il numero di morti in Libia, almeno non con precisione e poi si parla di 66 vittime a Gaza… Ma le oltre 120 in Francia fanno più rumore di migliaia sull’altra sponda del mare nostrum, per non parlare di quelle sepolte dallo stesso mare mentre erano in fuga da un inferno che ci ostiniamo a ignorare, di cui non sono minimamente responsabili.
Purtroppo in questi casi vale sempre quella formula della notiziabilità di un fatto, le cui variabili sono la distanza geografica dai luoghi del potere politico-economico e la sommatoria del numero delle persone coinvolte per il loro reddito personale. Chi oggi sovrappone il tricolore francese alla propria immagine del profilo ignora le tragedie che accadono ogni giorno a pochi passi da casa coinvolgendo migliaia di innocenti che vivono perennemente nel terrore. La responsabilità diretta o indiretta ricade sui Paesi “occidentali” che con arrogante autoreferenzialità si ergono a (fallimentari) tutori di pace, diritti civili e politici nel mondo.
I fondamentalismi, radicalizzazioni di tutti gli “-ismi” non solo religiosi (in fondo spesso anche politici), sono epidemie per la società, così come le credenze che ne costituiscono l’ossatura sono un cancro per la ragione. Gli effetti di tali epidemie sono inevitabili in assenza di adeguate contromisure. Alcuni propongono quarantene, innalzando muri e ignorando la possibilità di instillare vaccini “sociali”, ritenuti costosi o comunque lesivi della libertà di pensiero. Altri, sperano che la società guarisca da sola – ipotesi realistica dovuta a ricambio generazionale e altri fattori casuali che alterano lo stato di partenza.
Numerose circostanze farebbero attribuire fatti come la strage di Parigi a fonti occidentali, avvalorate anche da una dubbia affidabilità circa le notizie che riguardano il sedicente Stato Islamico.
Personalmente resto convinto che un mondo senza religioni, quantomeno senza credenze organizzate che permeano ogni aspetto della vita, anche di chi non crede, sarebbe più intelligente e pacifico per tutt*. Non mi avventuro in giudizi o commenti sull’accaduto, innanzitutto perché non possiedo elementi sufficienti per validare qualsivoglia punto di vista e poi perché purtroppo il campo è già affollato da troppi sedicenti esperti che hanno vomitato tutto e il contrario di tutto, senza mai però scalfire la superficie.

 

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